MAPPE PER VIAGGI (IM)POSSIBILI
passaggi attraversamenti sconfinamenti
(…) la città non dice il suo passato, lo contiene come le linee di una mano, scritto negli spigoli delle vie, nelle griglie delle finestre, negli scorrimano delle scale, nelle antenne dei parafulmini, nelle aste delle bandiere, ogni segmento rigato a sua volta di graffi, seghettature, intagli, virgole.
Italo Calvino 1
La pittura di Renzo Bellanca racchiude dinamiche di pensiero e di indagine che innescano continui rimandi a un’incessante ricerca di contaminazioni, concatenazioni e slittamenti intellettuali, attraverso cui comporre una struttura visiva complessa, articolata tra sapienti risonanze emotive, sottili corrispondenze formali e ricercate sedimentazioni percettive.
L’intento fin da principio è delineare un territorio ampio, in cui l’azione del dipingere possa inglobare esperienze di natura diversa, legate al vissuto personale e alla memoria dell’accadere, così da poter mettere a punto un linguaggio fluido, capace di forzare gli stretti limiti disciplinari e creare soppesate tensioni figurali e concettuali.
Le stratificazioni di segni e immagini, innestati su campiture cromatiche intense o leggere, talvolta ai limiti della liquefazione, imbastiscono una rete di rimandi e coinvolgimenti, che si ricompongono frammento dopo frammento, in un montaggio non lineare e mai univoco, per suggerire una molteplicità interpretativa flessibile e mutevole. Pochi elementi bastano per orchestrare opere seduttive e visionarie, in cui i segni si offrono allo sguardo come tracce di una quotidianità nella rarefazione di un tempo sapientemente dilatato, mentre le forme come cristallizzazione di un divenire discontinuo e imprevedibile, a comporre mappe, segnare rotte, suggerire approdi, sconfinamenti e attraversamenti di luoghi non strettamente corrispondenti alla realtà della geografia.
Le cartografie di Bellanca sembrano, infatti, affiorare da una dimensione liminare tra memoria di tutti i passati del mondo e immaginazione dell’altrove, intrappolate in uno spazio che difficilmente può essere definito dalle coordinate della geometria, semmai suggerito dalla ritmicità di una narrazione affabulatoria, che tutto mescola alle trame della transitorietà, della caducità, della persistenza.
Il desiderio dell’erranza, inteso non solo come esigenza fisica quanto piuttosto intellettuale, è sostanza della costruzione del sé, che attraverso l’arte recupera la qualità emotiva del suo divenire e disegna un differente farsi delle cose, creando pause, sovrapposizioni, intervalli e divaricazioni, che si sviluppano e proseguono rispecchiandosi gli uni negli altri. L’artista reinventa territori fisici ibridandoli con quelli mentali, delinea traiettorie di pensiero, che modificano l’ordine delle cose e propone inattese analogie, che coniugano il valore intimo della quotidianità e la portata sociale della storia, vissuti come innesco di ogni riflessione.
Partendo dalle mappe topografiche di luoghi che hanno accompagnato il farsi della sua esistenza, trasforma la geografia in una misura interiore, in cui accadimenti e accidentalità, percorsi fisici e mentali, itinerari quotidiani e tragitti occasionali trovano e ritrovano spazio e senso. Dilata le superfici fino quasi a reinventarle, per lasciare emergere le stratificazioni del tempo e del pensiero, su cui certezze del presente e aspettative per il futuro si cuciono le une alle altre, squadernando prospettive inedite. Crea innesti e sovrapposizioni alla struttura cartografica con vuoti, intercapedini e nuovi interstizi, per suggerire quello che non c’è, quello che non è visibile ma profondamente radicato nella memoria: passaggi improbabili, attracchi momentanei, partenze e arrivi scanditi da esigenze imperscrutabili, a regalare nuovi significati ai segni, alle immagini, ai loro raccordi, agli strappi, alle congiunzioni, alle loro continue germinazioni. Dipinge aree, perimetri, piante, declinando illusionistiche intersezioni lineari, che non possono ordinare il mondo, semmai scandire il ritmo disuguale dell’esplorazione di estensioni sospese, eppure imbrigliate nei reticolati aerei di antichi e nuovi insediamenti urbani, da leggere come le linee di una mano, come gli orditi appena visibili di una fragile epidermide, per affermare la necessità di un modo diverso di accostarsi alla realtà. Traccia percorsi da leggere come mappe per viaggi impossibili da compiere, se non abbandonandosi alla consapevolezza di perdersi per poi ritrovarsi e dopo avere destrutturato l’impalcatura concettuale, che imbriglia la mente e impedisce allo sguardo di soffermarsi su altri orizzonti, ridisegna nuove possibilità di lettura, sostanziate della necessità di un sentire interiore, a calibrare visioni emblematiche, che si fanno metafora delle contaminazioni quotidiane tra i luoghi e le esperienze a essi legate.
- Italo Calvino, Le città invisibili, in Romanzi e racconti, volume secondo, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 2004 p.365
Loredana Rea