Elevata interiorità Doppio Linguaggio

5Ci faceva male il cuore quando cominciavamo a contare. Era come se ci avessero detto che ogni numero avrebbe segnato la fine di una parte di noi. Contavamo in silenzio, contando i giorni che mancavano alla fine. L’alba arrivava come un’esplosione di segni, un bagliore di luci colorate, ed appena ci mettevamo a sedere sul letto, mentre qualcuno portava il caffè, ricominciavamo a contare. Era così scarsa la luce che veniva dalle finestre che ci sembrava impossibile immaginare che l’inverno potesse finire. Il rumore dei piatti lasciati in mezzo al tavolo con la minestra era il segnale che si era fatto mezzogiorno, lasciavamo un segno nello spazio a significare che quel segno era il punto da cui ricominciare. Si mangiava senza dire parole, gli occhi fissi nell’ombra scura. Il dolore si faceva più acuto verso sera, i segni che avevamo tracciato scomparivano, i contorni arrossati che si allungavano svanivano, imprimevamo forza nel tracciare il 9 e poi il 10, ma sapevamo già che il mattino successivo non avremmo ritrovato nulla, che avremmo dovuto ricominciare da capo. Durante la cena il silenzio era ancora più pesante, la parola giusta sarebbe stata ostile, mettevamo ad asciugare i piatti che avevamo finito di lavare, li contavamo uno ad uno, se c’era un senso noi lo avremmo misurato, ne eravamo sicuri, bastava aspettare. Si dormiva con gli occhi spalancati sul futuro, la quiete rimaneva sospesa, sapevamo bene che alla fine non ci sarebbe rimasto nulla da misurare. L’ultima alba fu preceduta da un aumento di bagliori, svegliandoci vedemmo che le pareti si erano arrossate come mai prima, ricontammo le tacche lasciate ai lati dei fori. Ora i numeri ci spiazzavano, i conti non tornavano, era come se la numerazione avesse preso sentieri inediti e nessuno di noi proseguendo l’addizione e la sottrazione, dividendo e moltiplicando, riusciva a tenere memoria quelle cifre bizzarre che comparivano dietro ai colori. Ci fermammo esausti a respirare, un sospiro lungo quanto un numerale infinitesimale.

Luigi Galluzzo