Indagine metonimia dell’arte
“Cosa stai facendo?”
“Sto analizzando delle epigrafi”, risposi a Renzo che, nel frattempo, si era avvicinato ad esaminare più attentamente da vicino “quei segni” fotografati al computer.
Come sia iniziato l’interesse di mio fratello per l’archeologia, non saprei dire con esattezza, ma so di sicuro che è stato continuamente attratto da tutto quello che ho studiato e da tutto ciò che è stato oggetto delle mie indagini.
Il nostro mondo è sempre gravitato attorno a ciò che da secoli ha caratterizzato la cultura materiale dei popoli, io per quel che riguarda l’antichità e Renzo per i segni provenienti dalla contemporaneità. E ciò non è stato, sicuramente, dovuto all’influenza che ognuno di noi esercitava sull’altro per il fatto che a Roma, dove vivevo con mio fratello, dovevamo “contenderci” uno spazio esiguo di un appartamento, giacché la nostra vicinanza fisica ed intellettuale, esisteva allorquando mi trovavo lontana dalla città eterna, incontrandoci, con qualsiasi mezzo, per discutere delle problematiche artistiche che caratterizzano la contemporaneità, i prodromi di alcune delle quali possono essere ravvisati già nell’antichità.
E’ forse dovuto a ciò, visto che tra noi non sono mai esistite barriere spazio-temporali, che anche la produzione artistica di Renzo ha risentito di un linguaggio capace di superare il trascorrere del tempo e i limiti fisici imposti dal supporto materico che trasmette l’idea stessa del suo fare arte.
La sua produzione artistica nasce dall’intima esigenza di “scavare”, di scarnificare l’apparente composizione della realtà, di svuotarla della sua tronfia apparenza.
C’è dietro l’analisi delle opere di Renzo, il desiderio di “imparare” a leggere il messaggio grafico-simbolico nascosto nei segni che, come allegorie totemiche nel deserto dell’esistenza, non sono assenza di vita ma, al contrario, sono l’affermazione della vita stessa che anela a venir fuori, che desidera in ogni modo emergere.
Si percepisce e si gusta, quindi, dietro il simbolo stesso esplicato in maniera così elementare “la vita dietro”, il simbolo primitivo il cui messaggio però non è altrettanto immediato da cogliere.
E’ evidente la ricerca della estrema essenzialità espressiva, frutto di un intenso lavoro artistico di condensazione, di sovrapposizione di segni, di messaggi, di linguaggi, di tecniche, di sintesi, di cancellazioni, espedienti stilistici che esaltano la forma e ne evidenziano il significato.
Il plurilinguismo che caratterizza la produzione di Renzo sembra preferire la semplicità all’artificio magniloquente: così accanto a molti vocaboli di facile accezione e tratti da un linguaggio comune quotidiano (o del quotidiano di ieri!), ce ne sono altri usati con significati particolari, di altra ed alta provenienza.
Il passato al presente è una dominante nelle opere: esso è quasi sempre associato alla presenza di un alfabeto antico, di corpi fossili che costituiscono l’elemento guida verso l’interpretazione crono-simbolica dei linguaggi e dei sentimenti.
Per raggiungere questo risultato, dunque, ci si serve di un’attenta scelta di tecniche, di linguaggi, di materiali, di colori, di segni apparentemente casuali, tali da creare intorno ad ogni pezzo un’invisibile rete di rimandi di significati che vengono ulteriormente amplificati da una profonda pregnanza del “signum”.
Una catena di lettere, simboli, segni, graffiti costituiscono il modo per esprimere un’emozione in forma d’arte, rappresentano la formula al punto che l’emozione ne risulti immediatamente evocata.
La tela, il legno, la carta diventano, così, luogo privilegiato della realtà d’un tempo e luogo della memoria del presente, ossia un luogo simbolico al confine tra due mondi, il passato e il presente.
Guardare un quadro di un grande artista mi ha permesso di vedere l’opera e di vedere nell’opera; vedere è diventato capire e capire diventa appartenere, affermare un’identità: è un’alchimia che ritorna anche nelle opere di Renzo.
Lia Bellanca